
Luca Aquino è uno dei trombettisti jazz più affermati d’Italia, ha suonato in tutto il mondo e vanta collaborazioni con le più illustri personalità del jazz internazionale. Nel 2017 ha avuto un infortunio neurologico facciale importante dal quale si è pienamente ripreso, questo se possibile rende quest’intervista ancora più interessante.
- Con chi hai imparato a suonare?
Ho cominciato a suonare la tromba all’età di 19 anni e sono autodidatta. Studiando da solo, senza metodo o un maestro e senza seguire percorsi accademici, i primi anni ho avuto problemi di impostazione che poi ho risolto con Lorenzo Federici, Marco Tamburini a Siena Jazz.
Ultimamente però Bobby Shew mi ha salvato la vita.
- Quali sono stati gli insegnanti per te più importanti (non necessariamente trombettisti)?
Jon Hassell. Abbiamo suonato insieme e l’ho incontrato in vari festival in giro per il mondo. È la mia fonte di ispirazione assoluta. La sua musica è eterna.
- In che ambiti musicali lavori attualmente (fai pure un elenco delle formazioni con una breve descrizione) e qual è la tua direzione (in altre parole qual è la cosa che preferisci suonare), fai anche un breve excursus della carriera fatta che ti ha portato al presente.
Ho avuto tre anni di stop, per via di due paresi facciali di Bell che ho recuperato con immensi sforzi e sacrifici. Un periodo da incubo, per fortuna alle spalle. Ora sto riprendendo un po’ la mia rotta con un progetto nuovo sul pugilato dal titolo “GONG”. Un omaggio ai grandi della boxe, in musica, insieme a Manu Katché, Antonio Jasevoli e Pierpaolo Ranieri, con l’arte visiva curata da Mimmo Paladino. Amo pensare e portare avanti i miei progetti, la mia idea musicale. Non amo ripetermi perché mi annoio facilmente.
- Come organizzi il tuo studio quotidiano sullo strumento? (dividi tecnica, improvvisazione/interpretazione o tendi ad unirle? Studi ogni giorno più o meno per lo stesso tempo? Dedichi lo stesso tempo ad ogni esercizio o non hai paura di tralasciare qualcosa se l’approfondimento di un aspetto è proficuo in quella giornata? Segui un ordine rigido?)
Con Bobby Shew, per tre anni, ho seguito un percorso minuzioso, al secondo, tutto programmato, sempre con l’orologio alla mano. Metodi su metodi, studiati con dedizione. Facevamo tantissimi esercizi facciali. Dovevo recuperare due infortuni neurologici facciali importanti. Non riuscivo a sorridere e neanche a tenere l’acqua in bocca o a pronunciare la lettera “p”, figuriamo a fare buzzing ma Bobby è stato un maestro unico al mondo e mi ha portato a risuonare di nuovo come prima, anzi meglio. Mi sono dovuto trasformare in uno sportivo e con calma e dedizione ho superato tutto. Ora che ho ripreso la muscolatura e la mia vita, provo ad ascoltare di più il corpo, senza mai strafare e senza seguire un ordine rigido nello studio della tromba che è lo strumento più bello e, allo stesso tempo, più difficile che possa esistere.
- Elenca gli esercizi che fai quotidianamente
Note lunghe in leggerezza, sempre. Amo poi il metodo Flexus perchè lo trovo completo e attuale.
- Quale secondo te è l’aspetto più importante da curare e sviluppare giorno per giorno (non necessariamente legato alla tecnica, può essere il suono o la respirazione ma anche il fraseggio, la musicalità, l’ascolto etc)
Bisogna ascoltarsi e capire cosa ognuno di noi ha dentro. Importante lasciarsi ispirare ma è inutile scopiazzare gli altri. E’ fondamentale trovare un proprio suono e, nel jazz, un proprio linguaggio e per far ciò bisogna anche posare ogni tanto tromba, per cercare ispirazione anche altrove.
- Quali sono le altre attività che svolgi regolarmente connesse o utili al tuo lavoro ma senza lo strumento in mano? Perché le fai? Quanto tempo ci dedichi? (Composizione, arrangiamento, booking, management, public reletions, ascolto attento alla musica etc.)
I primi anni della mia carriera mi occupavo anche di booking ma poi mi sono scocciato e ora se ne occupa Andrea Scaccia per me. Non trascuro però l’aspetto manageriale che è importante. Amo creare progetti nuovi e ambiziosi ma ora lo faccio senza stress. Ho ricevuto una bella lezione dalla vita. Tre anni fa, col mio “Jazz Bike Tour”, sarei dovuto partire dalla mia città, Benevento, con bici e tromba, per arrivare in Norvegia, a Oslo, in cinquanta giorni, con una media di ottanta chilometri al giorno. Mi ero preparato un anno intero, atleticamente ero pronto. Di giorno avrei pedalato e la sera avrei suonato in festival, luoghi d’arte, club, teatri, piazzette e borghi antichi, con musicisti europei e artisti provenienti dal Medio Oriente. Oltre quaranta concerti, organizzati in otto nazioni, insieme al manager del progetto Andrea Scaccia, anche lui appassionato di ciclismo. Il sottotitolo del tour era “Wheels not Walls”, un viaggio su due ruote oltre muri e barriere, un cammino nel segno della musica e della sua capacità di avvicinare culture e accorciare distanze. Jazz, sport, natura, arte, economia verde, riverberi, cibo, avventura, amicizia, accoglienza, solidarietà e un pizzico di follia. Il “Jazz Bike Tour” era un contenitore delle esperienze che avevo vissuto e delle passioni che mi avevano travolto fino a quel momento. Peccato che il giorno prima della partenza mi svegliai col viso storto, troppo stress. Oggi che, per fortuna, ho ripreso a suonare, meglio di prima, ho capito tanto dalla vita. Piano piano ragazzi, non forziamo !–