Intervista a Andrea Tofanelli

1. Con chi hai imparato a suonare?

Mio padre Dino suonava il genis (flicorno contralto in Mib) nella banda del mio paese, a Torre del Lago Puccini, ridente cittadina della costiera tirrenica in Toscana, frazione di Viareggio. Quindi il primo approccio alla musica l’ho avuto in totale autonomia a casa, cercando di suonare il suo genis a orecchio quando lui non era a casa, e strimpellando una tastiera Bontempi a ventola che mi avevano regalato per Befana. Suonavo a orecchio tutte le canzoni di musica leggera che andavano di moda a quei tempi, inoltre ascoltavo continuamente i dischi che compravano mio fratello e mia sorella, che erano molto più grandi di me. Tra questi, ce n’era uno di un gruppo che si chiamava Vanilla Fudge dove suonavano Beethoven rivisitato in stile rock psichedelico. Mi piaceva da impazzire e mi faceva letteralmente saltare sul letto, mentre facevo finta di dirigere un’orchestra. Mi è rimasto impresso. Inoltre, mio padre mi portava a sentire le opere della stagione estiva del Festival Pucciniano, al teatro all’aperto sul lago. Per un bambino portato alla musica come me, fu un’esperienza incredibile! Poi, all’età di 10 anni ho iniziato a suonare nella banda anch’io, che a quel tempo era una delle piùnumerose della Toscana, con più di 80 elementi. La scuola di musica aveva un insegnante di solfeggio pazzesco. Era Marino Peruzzi, un eccellente polistrumentista del mio paese, musicista professionista che aveva girato il mondo con l’orchestra di Don Marino Barreto Jr., famoso cantante degli anni ’50/60’/70’ che aveva inciso la canzone “La più bella del mondo”. Suonava tutti i sax, clarinetti, flauto, violino, contrabbasso, pianoforte, ecc… e li suonava tutti benissimo! Quando decise di rallentare la sua attività per l’età e per stare più vicino alla famiglia, iniziò a insegnare musica nella banda del paese. Aveva una lettura a prima vista fulminante, veramente incredibile, e mi fece un mazzo quadrato per imparare a leggere bene la musica, dicendo ai miei genitori che secondo lui avevo tutte le carte in regola per diventare in futuro un musicista professionista di livello. Marino era pure una persona splendida, mi incoraggiava e quando in seguito entrai a studiare in conservatorio, col solfeggio per me fu una passeggiata, vista la preparazione che mi aveva dato. All’esame finale di solfeggio presi 10… Marino mi iniziò anche alla professione, portandomi a suonare con lui in orchestre da ballo e big band professioniste locali (la Versilia a quei tempi era una zona dove si suonava molto) all’età di soli 14 anni. Gli devo molto. Poi c’era l’insegnante di tromba, un trombettista che suonava in banda ma che era in realtà un ottimo jazzista amatoriale. Da ragazzo aveva frequentato Dean Benedetti, sassofonista italo-americano, uno dei personaggi che viene sempre menzionato nelle biografie di Charlie Parker. Troviamo Dean Benedetti in un cofanetto pubblicato della Mosaic nel 1990 con tutte registrazioni inedite dal vivo di Charlie Parker, che Dean stesso aveva registrato nei jazz clubs seguendo Parker in ogni suo concerto. Erano amici, e avevano condiviso molte esperienze nel periodo newyorkese. Trovate Dean benedetti anche su Wikipedia:

https://it.wikipedia.org/wiki/Dean_Benedetti

https://en.wikipedia.org/wiki/Dean_Benedetti

Bene, la famiglia di Dean Benedetti era originaria proprio di Torre del Lago Puccini ed era emigrata negli States a inizio secolo. Quando Dean si ammalò di Miastenia, una malattia mortale per quell’epoca, decisero di tornare al paese. Dean Benedetti aveva vissuto in prima persona la nascita del bebop a New York accanto a Charlie Parker e si ritrovò a vivere gli ultimi anni della sua vita a Torre del Lago. Insegnò tutto ciò che aveva imparato da Parker a un manipolo di appassionati di jazz, tra i quali c’era il mio insegnante di tromba, che a sua volta insegnò queste cose a me. Questo il cerchio che mi ha portato a iniziare la mia vita musicale tra opera, jazz, banda e rock psichedelico. Una vera fortuna che sono ancora sano di mente…almeno credo…

2. Quali sono stati gli insegnanti per te più importanti (non necessariamente trombettisti)?

Quelli che ho già menzionato all’inizio della mia vita musicale, sicuramente. Poi, andando avanti, ci sono stati tanti altri docenti che sono stati importanti, per svariate ragioni. Mauro Malatesta, il mio docente al conservatorio, e poi Armando Ghitalla, ex prima tromba della Boston Symphony Orchestra che mi ha rimesso a posto l’impostazione, mi ha anche insegnato come si insegna la tromba (senza pensare solo all’aria, ma mettendo a posto coscienziosamente TUTTI i dettagli che ci fanno migliorare al 100%) e mi ha permesso di diventare ciò che sono oggi a livello strumentale, sia come esecutore che come docente. Anche il mio idolo Maynard Ferguson è stato un insegnante, seppur indiretto…suonando con lui sul palco per così tante volte in tanti anni, ascoltandolo, vivendolo, mi ha insegnato un sacco di cose musicali che non si trovano scritte da nessuna parte. A livello jazzistico, per la dizione di sezione, il grande Oscar Valdambrini, solista della big band della Rai di Roma. Anche Sergio Fanni, analogo per la big band della Rai di Milano. E poi suonare accanto a Emilio Soana, altro gigante della tromba jazz italiana, è pura scuola anche soltanto fermandosi ad ascoltarlo. Immaginate a suonarci insieme. Poi per il jazz trombettistico più moderno Marco Tamburini, e per quello più mainstream Giampaolo Casati, e Cocco Cantini per la musica d’insieme jazz. Enrico Rava come ispirazione su come suonare una ballad e dare emozioni col proprio suono, e Bobby Shew per l’elasticità strumentale di poter fondere insieme pop e jazz, e Malcolm McNab per come interpretare in maniera giusta alcuni metodi fondamentali per lo studio della tromba. Per la formazione musicale, armonia e arrangiamento jazz il grande Mauro Grossi, una vera enciclopedia vivente. Sono stati tanti i musicisti che mi hanno ispirato, ognuno di loro per ragioni diverse, e li ringrazio tutti, uno ad uno.

3. In che ambiti musicali lavori attualmente e qual è la tua direzione (in altre parole qual è la cosa che preferisci suonare), fai anche un breve excursus della carriera fatta che ti ha portato al presente

Ho sempre suonato di tutto, in tutti i generi musicali e in tutti gli stili. Ho avuto la fortuna di suonare ad alto livello in tutti gli ambiti, ho vinto audizioni, dalla classica al jazz, dal pop alla musica contemporanea, come solista e come prima tromba d’orchestra. Ho registrato centinaia di dischi (migliaia forse?) in tutti i generi musicali, ho fatto televisione per 26 anni. Sono curioso, mi piace sperimentare la musica in toto, senza perdermi niente, e soprattutto mi piace mettermi alla prova, senza mai dare niente per scontato. Ho fatto anche un pò di orchestra da ballo, comunque sempre ad alto livello e, che ci crediate o no, per fortuna che ho fatto pure quello perchè in alcuni situazioni d’emergenza dal vivo in televisione mi è servito pure aver imparato quel repertorio… Le mie caratteristiche strumentali mi hanno portato ad essere conosciuto per alcuni aspetti specifici della tromba, ma nella mia carriera ho dovuto e voluto suonare veramente di tutto. Se possiamo riassumere: partito col jazz, poi classica e opera, poi ritorno al jazz, poi sono entrato nel giro della tv e dei tours di musica leggera, principalmente come prima tromba e acutista. Poi dagli inizi degli anni 2000 in avanti, progressivamente la dimensione di solista ha iniziato a prendere il sopravvento, affianco e poi superando quella da prima tromba. Anni fa, la mia attività lavorativa era per l’80% come prima tromba, e un 20% come solista. Oggi, è esattamente l’opposto, ovvero 80% come solista e un 20% come prima tromba, attività che ho comunque mantenuto perchè mi piace, e la faccio con orchestre e big band di alto livello. Per altri lavori che mi non mi interessano più, mando i miei studenti più bravi oppure li passo ad altri colleghi. Come docente, ho sempre insegnato, fin da quando il maestro Ghitalla mi mise a posto nel 1987. Prima insegnavo privatamente, poi dal 2004 in poi ho preso posto in conservatorio, all’ISSM Vecchi-Tonelli di Modena e in poco tempo sono diventato molto richiesto anche per la docenza, sia in Italia che a livello internazionale, iniziando a tenere masterclass e clinics nelle università e conservatori di tutto il mondo. Adoro insegnare e trasmettere ciò che ho imparato alle generazioni future.

4. Come organizzi il tuo studio quotidiano sullo strumento? (dividi tecnica, improvvisazione/interpretazione o tendi ad unirle? Studi ogni giorno più o meno per lo stesso tempo? Dedichi lo stesso tempo ad ogni esercizio o non hai paura di tralasciare qualcosa se l’approfondimento di un aspetto è proficuo in quella giornata? Segui un ordine rigido?)

Ho trascorso anni e anni facendo una rigida routine quotidiana, dividendo lo studio in 3 parti: warm up, tecnica e musica. La parte di warm up variava a seconda di quanto mi serviva a scaldarmi, poi la parte tecnica prevedeva lo studio di mantenimento e miglioramento di tutti gli aspetti strumentali, e arrivava fino a circa 90 minuti. Tutto il resto, ore ed ore, era dedicato alla parte musicale, con studi, concerti classici, passi d’orchestra, improvvisazione, ecc… Anche oggi, quando posso, arrivo a studiare anche 8 ore al giorno, nei giorni in cui posso dedicarmi completamente allo strumento. In ogni caso, non sono MAI andato sotto a un minimo di 2 ore di studio quotidiano, anche quando per motivi di viaggi di lavoro, di docenza oppure familiari ho giornate interamente occupate. Spesso studio di notte, con la sordina muta, quando nessuno mi disturba… Anche quando faccio lunghi voli internazionali, la prima cosa che faccio è mettermi a studiare in hotel al mio arrivo. Talvolta studio anche negli aeroporti mentre aspetto il volo…ogni momento è buono. La tromba purtroppo richiede sacrificio e dedizione, e se non studi abbastanza non ti perdona. Più il livello di performance richiesto è alto, e più occorre studiare. Poche storie… Oggi, nel 2020, a 55 anni, studio ancora veramente tanto ma in modo diverso. È uno studio mirato a ciò che devo eseguire in concerto. Quindi non seguo più una routine fissa, ma cerco di ascoltarmi e di studiare ciò di cui ho bisogno. È importante imparare a sentirsi, interiormente e fisicamente, e capire ciò di cui abbiamo bisogno ogni giorno per restare ad alto livello. In definitiva, direi che la massa di ore di studio non è cambiata, ma oggi curo di più la parte musicale per arrivare ad affinare anche la tecnica.

5. Elenca gli esercizi che fai quotidianamente (se ci sono esercizi che fai ogni giorno uguali scrivi quali sono, se invece sono una categoria di esercizi che cambi sempre basta dire che tipo sono es. flessibilità). Per ogni esercizio spiega PERCHÈ LO FAI, COME LO FAI, QUALI BENEFICI TI PORTA, DA CHI O COME L’HAI APPRESO

Come dicevo, oggi non ho più una routine fissa. Gli esercizi variano ogni giorno, e talvolta me li invento io. Li testo, e se funzionano li spiego anche ai miei studenti. Sono un fan della centratura, quindi ci lavoro molto in tutti modi possibili. Lo studio del buzzing solo col bocchino è prezioso. Mi capita qualche volta di studiare anche 6 ore al giorno solo col bocchino. Se lo si fa bene, senza forzare e cercando una ipercentratura, succedono cose incredibili. L’ho imparato da Ghitalla ovviamente, ma ho preso coscienza di quanta importanza realmente ha questo tipo di studio dai trombettisti che hanno studiato direttamente con Stamp, come Malcolm McNab. Poi il bending espanso e la flessibilità veloce ed ampia, che passi in tutti i vari registri. Poi i pedali suonati chiusi, e non slabbrati come molti docenti dicono discutibilmente di fare, dimostrando di non aver capito a cosa serve il metodo Stamp. Lo staccato semplice, doppio e triplo basta solo studiarlo, in misura di quanto mi serve per i miei concerti. Se devo fare concerti in cui passo dalla classica al jazz, allora lo tengo molto sotto studio perchè è uno dei miei punti deboli. Ogni trombettista ha un personale punto debole, un tallone d’Achille che deve tenere più sotto studio. Chi ha l’estensione, chi la flessibilità, chi gli attacchi, chi il piano, chi le note basse, ecc…io devo tenere sotto studio lo staccato, specialmente doppio e triplo, perchè tendo a perderli facilmente. Ho scoperto anche che faccio, senza pensarci, una specie di Caruso fatto in casa, con concetti simili ma suonando sempre cose diverse.

6. Quale secondo te è l’aspetto più importante da curare e sviluppare giorno per giorno (non necessariamente legato alla tecnica, può essere il suono o la respirazione ma anche il fraseggio, la musicalità, l’ascolto etc)

Non scriverò cose simpatiche e facilmente condivisibili… Partiamo col dire che occorre trovare la propria dimensione. Ogni trombettista ha una propria dimensione, specifica, e impara a conoscersi con gli anni. Non amo i cosiddetti “guru” e preferisco sempre consigliare agli studenti di prendere lezione da chi sul palco ci sale sempre (o ci è salito in passato) e si scontra (o si è scontrato) ogni giorno con le difficoltà della professione. Io stesso, consiglio ai miei studenti di andare a lezione anche da altri trombettisti, anche se insegnano all’opposto di me. Da quando ho iniziato a frequentare stabilmente gli USA ho scoperto e toccato con mano che molti concetti trombettistici portati in Italia negli anni 80’ e 90’ da chi aveva studiato negli States sono stati in parte travisati e non sono veritieri al 100%. Ho iniziato a frequentare gli USA nel 1998, ho iniziato a insegnare nelle università americane nel 2005, sono entrato nel giro degli artisti dell’ITG (International Trumpet Guild) nel 2008, e dal 2014 al 2019 sono stato votato a livello internazionale nel Consiglio Direttivo (oggi sono Consigliere), e in più fino ad oggi ho girato molte delle più importanti università americane come docente e artista: in tutti questi anni ho conosciuto e suonato con la maggior parte dei migliori trombettisti del mondo, oppure li ho sentiti suonare e insegnare, e posso dire che tutto ciò che è stato riportato in Italia da chi è stato negli States negli anni 80’ e 90’ è molto riduttivo e talvolta fuorviante. Prima di tutto: non esiste una sola scuola trombettistica americana, ma ne esistono almeno 3, ovvero la West School, la East School e la Mid-West, con illustri esponenti per ogni corrente. E i concetti sono molto diversi per ogni approccio e scuola. L’aria è importante, ma NON È TUTTO. Diffidate da chi vi dice SEMPRE che non respirate bene e che la colpa è vostra perchè non respirate bene, e da chi insegna la tromba come se fosse un tuba o un trombone. Il problema di aria può essere la causa, ma molto spesso è l’effetto causato da qualche altro problema che sta a monte. Risolto il problema a monte, anche l’aria si allinea e va a posto in automatico. Purtroppo, se il docente non conosce la tromba nella sua totalità, insegna solo ciò che sa e offre un insegnamento incompleto, ma la cosa peggiore è quando afferma che tutto ciò che non conosce non è importante o addirittura è dannoso, limitando anche gli studenti stessi. l’Italia trombettistica è stata per diversi anni un caso a parte, con un’idea fortemente squilibrata sullo studio dell’aria, come se l’aria mettesse a posto tutto il resto (impostazione, ecc…), ovvero un’idea d’insegnamento molto “tubistica” e molto poco trombettistica. Personalmente, se devo citare aforismi o consigli, cito trombettisti e non tubisti (come fanno invece alcuni trombettisti). Io stesso, quando ho avuto problemi d’impostazione in passato, seguendo queste scuole “soffiasoffia che si mette tutto a posto da solo” sono arrivato a un passo dall’appendere la tromba al chiodo, finché non è arrivato Ghitalla a mettermi a posto e a salvare la mia vita da musicista. Ma insegnare è anche un business…e chi ha creato il business dell’insegnamento basato su attrezzi e concetti che in automatico mettono all’angolo lo studente perchè è sempre colpa sua se non suona bene (perchè non studia abbastanza, perchè non respira abbastanza, perchè crea troppe tensioni, ecc…) non molla facilmente l’osso, anche grazie al carisma che talvolta ha nei confronti degli studenti. Sarebbe veramente bello se bastasse solo pensare il bel suono per farlo uscire fuori, o pensare solo alla musica per mettere a posto i problemi tecnici. Nella mia personale esperienza non è così, e non sarà mai così. Esiste una parte di comprensione “meccanica” del funzionamento della tromba, dell’impostazione e delle funzioni fisiche della tromba che va al di là della filosofia trombettistica e permette a chiunque di migliorare e risolvere i propri problemi in maniera molto pratica. Io sono orgoglioso di non apparire tra quelli che hanno studiato con questo o con quel guru: mi ha permesso di essere ciò che sono oggi con la tromba in mano, col mio suono, senza appiattimenti generalizzati che fanno suonare tutti uguali e tolgono personalità. Non sono importanti i docenti: sono più importanti gli studenti. Il docente è al servizio dello studente, e non il contrario. Studenti: non siete sempre voi quelli sfigati che non capite come mettere in pratica i meccanismi trombettistici: talvolta è colpa dei docenti che non li sanno spiegare, oppure non capiscono quale sia veramente il vostro problema, oppure a loro volta non conoscono bene al 100% la materia che insegnano. Non fatevi ammaliare e non fatevi prendere in giro, datemi retta. Detto tutto questo: quando l’impostazione è a posto, il resto è musica. Tutto è importante quando si parla di tromba. Ci vogliono decenni per creare un trombettista completo e ottenere una resa constante di alto livello. Niente deve essere lasciato al caso: impostazione, suono, respirazione, fraseggio, musicalità, ascolto ecc…

7. Quali sono le altre attività che svolgi regolarmente connesse o utili al tuo lavoro ma senza lo strumento in mano? Perché le fai? Quanto tempo ci dedichi? (Composizione, arrangiamento, booking, management, public relations, ascolto attento alla musica etc.)

La musica è al contempo il mio lavoro, la mia passione, il mio hobby. Ha risolto la mia vita, e mi è servita a prendere coscienza di quello che posso valere e di ciò che posso o non posso fare nella vita, nel bene e nel male. Mi ha fatto scoprire me stesso, togliendomi dubbi e paure e tranquillizzandomi, dandomi una disciplina e una direzione di vita. Mi ha valorizzato e mi fa stare bene. Non mi metto praticamente mai a fare booking, cercando concerti: chi mi vuole, mi chiama. Chi non mi chiama fa altre scelte, e va bene così perchè continuiamo comunque ad essere tutti contenti. Tanto non si può piacere a tutti, ed è giusto che ci sia spazio per tutti.Ogni tanto compongo, quando mi viene in mente qualcosa d’interessante, e ogni tanto arrangio, ma non lo faccio in maniera convulsa o regolare. Ho imparato a vivere la musica senza violentarla e senza violentarmi: la mia vita è da così tanti anni piena di musica che deve esserci spazio per lasciarla respirare e per far riposare anche la testa. Poi ci pensa la musica stessa a saltare fuori quando è il momento giusto, in maniera naturale. Al di fuori di essa, mi piace mangiare bene, fare passeggiate nella natura, leggere, riflettere, osservare la gente e conoscere le altre culture. Ultimamente mi sto appassionando un pò alle serie tv, forse a causa del lockdown forzato, e sto mettendo insieme il repertorio per tornare in sala d’incisione e fare un nuovo disco a mio nome. Tutto qua. Un caro saluto a tutti!


andreatofanelli.it

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